Tragedie d’amore e d’altro genere

scarpe-rosse-femminicidioAnche oggi la notizia di due ragazzi morti per l’amore che diventa odio quando non è più corrisposto. Lui ama Lei, Lei non lo ama più, Lui non può vivere senza di Lei, né può sopportare di essere rifiutato…… allora si butta tra le braccia della morte e getta anche Lei, perché Lei è “cosa sua” e di nessun altro e guai se lo rifiuta e se ne va per un’altra strada.

 

 

D’ altra parte Lei è la costola di Adamo e le costole appartengono al corpo che le contiene. Quando si rompono è un dolore insopportabile e non si possono neppure aggiustare come le altre ossa con ingessature e imbragature. L’unica cura è stare fermi, non muoversi, sopportare il dolore e lasciare che il tempo faccia il suo lavoro e ci restituisca il nostro corpo forte e vigoroso.
Negli amori che finiscono questo tempo si chiama elaborazione del lutto: è il tempo del dolore e della rassegnazione alla fine dell’amore e soprattutto dell’accettazione della cocente delusione e frustrazione dell’essere stato rifiutato.
E’ sorprendente e incredibile come un così grande numero di persone nate e cresciute in questa nostra società dell’immagine e del web siano assolutamente incapaci di tollerare e digerire qualunque frustrazione ed esperienza che li ponga di fronte ai propri limiti, alla propria finitezza e fragilità di essere umano.

 

 

Ogni scontro con la durezza della realtà diventa una sorta di evento traumatico, mentre è una delle difficili prove o un grandi dolori della vita.
Un tempo, prima dell’era del web, di fronte a drammi come quello di questi ragazzi, erano i genitori ad essere chiamati in causa, e personalmente credo che a quei tempi la responsabilità della famiglia c’entrasse parecchio.
Oggi, per le persone cresciute in questa società caratterizzata dallo strapotere dell’immagine e del web, penso che le cose stiano diversamente.
Da un lato c’è questa insopprimibile esigenza di visibilità che obbliga quasi tutti quelli di queste generazioni a costruirsi un’immagine che li rappresenti di fronte al mondo.

Sono immagini fatte di foto e parole, che devono essere il più belle, divertenti e interessanti possibili, perché poi devono circolare vorticosamente nel web, sempre rinnovate e perfezionate, in modo che tutti le vedano, le ammirino o anche le invidino.

 

 

Alla fine del gioco però, loro stessi, i creatori di tali immagini, le credono assolutamente veritiere, si identificano con le ideali rappresentazioni di sé che hanno costruito, e quando le guardano e ci vedono se stessi: belli, divertenti, sensibili, interessanti, profondi.

 

 

Poi quando capita che la vita rompa lo specchio, anche loro vanno in pezzi come uno specchio.
E’ chiaro che questa enorme necessità di essere visibili a quante più persone possibile, nei modi in cui ci immaginiamo o vorremmo essere, indebolisce al massimo la capacità di tollerare la frustrazione e la delusione, e impedisce la conquista di una consapevolezza di sé più realistica, fatta di buchi e risorse, fragilità in certi ambiti e forza in altri, e così via.

 

 

Una consapevolezza che ci rende in grado di affrontare, più o meno bene, gli scontri con la realtà che la durezza della vita ci riserva.
Accanto allo strapotere dell’immagine ci metto la “morte”, la scomparsa delle grandi ideologie o ideali, chiamateli come volete, della società passata.

 

 

Buone o cattive che fossero costituivano dei grandi contenitori, dove si trovava già confezionata e organizzata una particolare visione del mondo, dalla quale discendeva una determinata gerarchia di valori, un credo indiscutibile, e poi si trovava anche un gruppo pronto ad accoglierci a braccia aperte.
La scomparsa del potere esercitato da questi grandi contenitori (famiglia, partito, chiesa, scuola etc.) ci ha reso orfani, persi nella vastità del mondo non abbiamo più alcuna bussola che ci orienti.

 

 

E allora si deve imparare a camminare da soli, il che vuol dire costruirsi con grande fatica, difficoltà, dubbi e incertezze una propria visione del mondo dalla quale conseguirà una determinata serie di valori, assolutamente personali, condivisibili con altri, ma senza alcun contenitore che li organizzi e infonda sicurezza.

 

 

Se ciò non avviene o ci si perde nel deserto, e cioè si perde il senso del nostro esserci, oppure si aderisce adesivamente agli imperativi di questa società che non insegue altro che il profitto e la visibilità, l’apparire ad ogni costo.

 

 

In questo caso la superficie, ciò che si vede diventa il “fondamentale”, e allora diamoci dentro con i brand, i social, la frequentazione di determinati luoghi, le conoscenze di un certo tipo, l’efficienza sempre al massimo.
Chi veramente siamo, quale sia il nostro vero desiderio, sono cose secondarie, perse per strada, come per strada perdiamo noi stessi.

 

 

Infine ci sono quelli a cui il luccichio della superficie non basta oppure non possono averlo perché troppo costoso e per loro elitario, e allora diventano facile preda di qualunque ideologia o credo, anche i più crudeli e inumani, perché regala loro un posto nel mondo. Finalmente non si chiamano più nessuno, ma hanno un nome, non importa se questo nome è “boia”.
In conclusione accanto all’impossibilità di accettare la delusione e la frustrazione di non essere quello che vogliamo apparire e di essere rifiutati, c’è anche l’impossibilità di accettare e digerire la delusione e la frustrazione di essere solo ciò che si è.

 

 

Tuttavia è solo da lì che si può partire per riempire faticosamente i vuoti che abbiamo, accettare e imparare a gestire le proprie fragilità e ampliare i propri orizzonti.



Psicologa Psicoterapeuta Milano

Dott.ssa Daniela Grazioli

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