La vergogna sì bella e perduta

vergognaDall’arte alla politica è scomparso l’antidoto all’esibizionismo.
Ecco una sintesi della lezione che MARCO BELPOLITI terrà questa sera alla Palazzina Liberty di Milano.

 

 

La vergogna non c’è più. Quel sentimento che ci suggeriva di provare un turbamento, oppure un senso di indegnità di fronte alle conseguenze di una nostra frase o azione, ci induceva a chinare il capo e abbassare gli occhi, sembra scomparso……………………………………
Da qualche tempo mi domando perché si sia perduto questo sentimento così forte, essenziale, e insieme terribile, come mai abbiamo perso questo guardiano o, come dicono gli psicologi, questo strumento essenziale per la salvaguardia di sé.
Oggi la vergogna, ma anche il pudore, non costituisce più un freno al trionfo dell’esibizionismo, al voyeurismo, sia tra la gente comune come nelle classi dirigenti.
La perdita di valore della vergogna corrisponde alla idealizzazione del banale e dell’insignificante. Lo sguardo ammirato di molti si rivolge non più a persone di rilievo morale o intellettuale, bensì a uomini e donne modesti, anonimi, assolutamente identici all’uomo della strada o alla donna della porta accanto.
Un tratto che evidenzia il processo di omologazione in corso nelle società fondate sulla democrazia dei consumi. La vergogna è forse il sentimento proprio di altre epoche dell’umanità, quando il bisogno di esserci, o meglio, di essere visti, e di vedere tutto, non era così significativo e rilevante come oggi?
La vergogna, ci raccontano gli psicoanalisti, è diventata un tabù. O meglio, si è trasformata in vergogna-di-non-aver-successo, di essere nessuno. Ha scritto uno psicologo che la nostra vergogna contemporanea consiste nel sentimento del fallimento della propria esibizione.
Ci si vergogna di vergognarsi, poiché questo richiama l’attenzione di tutti sull’unica cosa che si vuole nascondere: l’insuccesso. Non è più vero come nel passato che la vergogna costituiva comunque un valore. La vergogna della società contemporanea è una «vergogna sulla pelle».
Nessuno meglio di Andy Warhol ha saputo raccontare questa società senza pudore e senza vergogna. Le opere di Warhol sono la meravigliosa rappresentazione della nostra condizione, proprio per questo ci attraggono: le guardiamo incantati e stupiti di trovare sulla loro superficie la forza scintillante del Nulla.
Il Nulla è la musa inquietante del nostro tempo. Ha scritto Warhol in uno dei suoi libri: «Sono certo che guardandomi allo specchio non vedrò nulla. La gente dice sempre che sono uno specchio, e se uno specchio si guarda allo specchio cosa può trovarci?». E più avanti: «Alcuni critici hanno detto che sono il Nulla In Persona e questo non ha aiutato per niente il mio senso dell’esistenza. Poi mi sono reso conto che la mia stessa esistenza non è nulla e mi sono sentito meglio». Warhol rappresenta il Nulla e insieme la sua aura. Sembra un paradosso, ma non lo è: Warhol non ha abolito la forza dell’aura, la fascinazione e la magia aleggiano intorno alla sua arte. Si può dire che l’abbia invece potenziata.
Come ha osservato un critico in modo icastico, il potere dell’aura dell’artista americano risiede nel fatto che «egli non è solo un divo fra i divi, ma anche fan tra i fan». Questa è la forma contemporanea dello spettacolo che ha cancellato il senso della vergogna.
Guardo le foto della festa di compleanno a Casoria – Noemi, i genitori di Noemi, il Presidente del Consiglio, gli amici di Noemi, e penso che sembrano uscite da un libro fotografico di Andy Warhol, oppure estratte da una delle casse dove l’artista americano custodiva ritagli, biglietti, cartoline, annotazioni, tutto ciò che la sua vita sfiorava.
Sono immagini insignificanti, come i pezzi del reale che portiamo in tasca, scontrini del supermercato, biglietti del tram, liste della spesa; tutte cose che finiscono nel cestino della carta. Sono immagini pronte per la nuova edizione di Cafonal, l’album warholiano confezionato da Roberto D’Agostino.
Costituiscono il racconto di una inespressività meticolosa, la suprema volontà di insignificanza, quella volontà, lo ha notato Baudrillard a proposito dell’opera di Warhol, che è la vera versione contemporanea della volontà di potenza.
È con questa volontà che ora dobbiamo fare i conti, con la sua «pretesa minima dell’essere, la strategia minima dei fini e dei mezzi». L’unica cosa che noi ora possediamo è la capacità di formulare giudizi. Provare a giudicare ciò che con costanza cerca di sottrarsi al nostro giudizio, di condurci nel campo degli «stati d’animo», di appenderci all’istante eterno, senza passato e senza futuro. Come aveva capito Warhol tutto in America, e ora in Italia, comincia e finisce con gli stati d’animo.



Psicologa Psicoterapeuta Milano

Dott.ssa Daniela Grazioli

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